Intervista con François Houÿez

Trascrizione

Mi chiamo François. Ho 51 anni, lavoro per l’organizzazione europea per le malattie rare EURORDIS, dove il mio ruolo principale è di aiutare i pazienti a navigare nelle diverse procedure per lo sviluppo, la ricerca, la valutazione dei farmaci, la misurazione dei loro bisogni ed effettuiamo un’attività di tutoraggio affinché apprendano come negoziare e parlare con tutte le parti interessate.

Ad esempio, quando i pazienti non sanno come discutere riguardo a uno studio clinico con un’azienda e hanno sentito che un’azienda sta iniziando a sviluppare un farmaco per la loro malattia rispettiva, organizziamo degli incontri tra l’azienda e i pazienti. Per prima cosa spieghiamo ai pazienti tutto ciò di cui possono dibattere e in che modo dibattere e quando accompagniamo i pazienti, organizziamo degli incontri con le aziende e a volte con gli sponsor pubblici. Questo è un modo e quindi li accompagniamo e proseguiamo, facciamo loro da guida durante tutto lo sviluppo.

Un altro modo, altrettanto molto importante, è di nuovo l’idea del tutoraggio quando il CHNP, il comitato che autorizza i farmaci, ha bisogno di consultarsi con i pazienti. Il CHMP ha deciso di consultare i pazienti in modo diretto, in particolare quando pensano di poter ricevere un’opinione negativa. E per questi pazienti, è necessario spiegare loro cosa comporteranno le procedure, e devono essere accompagnati e anche questo è il mio ruolo, dare loro indicazioni, affiancarli in modo che possano offrire il migliore contributo possibile.

Vi è qualcosa che può aiutare veramente molto i pazienti, in una delle situazioni probabilmente più orribili che possono affrontare, quando sanno che un farmaco è in sviluppo, che arriverà presto ma non c’è ancora, e se non vi accedono ora, saranno morti entro il momento in cui risulterà disponibile. La società ha una risposta per questi pazienti che si chiama “uso compassionevole”. In che modo ottenere l’uso compassionevole, non lo si apprende a scuola, ma da tutti i pazienti che ci sono passati e che aiuteranno a negoziare l’accesso a tale farmaco. Si tratta di un’attività estremamente importante.

A volte aiutiamo pazienti singoli, riceviamo una email o una chiamata da un paziente che non abbiamo mai incontrato prima e che probabilmente non incontreremo mai. Spiegano la loro situazione, il loro problema, li aiutiamo ed è molto appagante perché a volte solo anni più tardi ricevi una e-mail che dice: “Comunque, ha funzionato e sono sempre qui, grazie”. E talvolta sono gruppi di pazienti a cui noi insegniamo e spieghiamo in che modo possono ottenere ciò che vogliono. E posso pensare ad alcuni pazienti che stavano lottando per avere informazioni adeguate o il prodotto appropriato di cui avevano bisogno in quel momento e che sono sopravvissuti grazie ai consigli che abbiamo dato loro. Ad esempio, ricordo una dottoressa belga che ci contattò perché a un paziente era stata negata la copertura per un farmaco di cui aveva bisogno per salvare i suoi reni e la dottoressa era disperata perché non sapeva come reagire. Le demmo tutte le informazioni di cui aveva bisogno in modo che potesse fare appello, e solo due settimane dopo l’interruzione del suo trattamento, il paziente era di nuovo sotto trattamento e poté salvare il suo rene. Questo è un caso, ma vi sono dovunque molti casi individuali in relazione ai quali siamo pronti e abbiamo l’organizzazione per dare loro aiuto. Ed ecco perché la costruzione di competenze e la formazione come nel caso di EUPATI sono davvero fondamentali.

QUALI SONO ALCUNE DELLE SFIDE E OSTACOLI CHE I PAZIENTI ESPERTI AFFRONTANO NEL LORO LAVORO?

Spesso non sanno che cosa possono ottenere, non sanno cosa possono fare, non conoscono il processo sufficientemente bene per intervenire, per avere un ruolo. Anche se troppo spesso pensano: “Mah…” o sono intimiditi o pensano che sia troppo complesso, impossibile, quindi non ci provano. E ci sono altri che invece affrontano la sfida e hanno successo, sappiamo che ci sono persone, persino pazienti o genitori, che addirittura creano la propria azienda farmaceutica. Posso pensare a una madre di un bambino con una malattia rara, ha deciso che il modo più rapido fosse la creazione di una propria azienda farmaceutica, e al momento stanno svolgendo uno studio su una terapia genica, un prodotto molto promettente. Al momento stanno implementando lo sviluppo continuo del farmaco. Naturalmente, questi sono casi eccezionali. Vi sono altri modi per ottenere ugualmente grande risonanza, che sono più semplici rispetto alla creazione di una tua azienda farmaceutica personale, ma che possono fare veramente la differenza per te stesso e per i tuoi pari.

E quindi, altri ostacoli… Essere intimiditi, non individuare le persone giuste o il giusto interlocutore con cui parlare, o non trovare la persona che può formarti o spiegarti come funzionano le cose e cosa puoi fare. Ecco perché è veramente fondamentale fare rete con organizzazioni strutturate, non solo fare rete su Internet scambiando idee e informazioni con le persone, ma partecipare ai movimenti, i movimenti di difesa dei pazienti e le organizzazioni in cui le persone s’impegnano per aiutare a fare da guida ad altri pazienti e difensori.

COME STA EVOLVENDO NEL TEMPO IL COINVOLGIMENTO E LA DIFESA DEI PAZIENTI?

Il contesto sta cambiando in modo permanente e abbiamo visto per esempio l’Agenzia europea dei farmaci, che nell’ultimo anno ha imparato a lavorare in modo esteso con i pazienti, in più di 700 occasioni, i pazienti hanno partecipato in una delle attività dell’EMA e adesso l’EMA li ha presi a bordo e li ha organizzati bene in molte attività, in modo che possiamo focalizzarci su altre attività in cui i pazienti non sono ancora coinvolti. Noi stessi passiamo da un’attività o un ruolo al successivo e di nuovo discutiamo quello che possiamo fare, in che modo possiamo spingere i nostri pazienti a essere presenti dove non siamo ancora presenti e a far parte del processo decisionale. Il nostro ruolo sta quindi evolvendo costantemente perché vi sono sempre nuove aree in cui è possibile apprendere come avere un ruolo e portare nuovi pazienti. Ma un pensiero naturalmente evolutivo dovrebbe essere anche consapevole dell’assoluta necessità di formare nuove generazioni di pazienti. Quindi penso che la mia evoluzione personale comprenda adesso la formazione e il potenziamento di altri pazienti, al fine di proseguire la conquista, invece di agire personalmente. Riguardo a coloro che erano pionieri nella difesa e nel dare ai pazienti il ruolo che adesso hanno, vi è il rischio che, dopo aver lasciato, quindi nella generazione successiva, non vi saranno sufficienti difensori, perciò abbiamo assolutamente bisogno di provare a portare altri pazienti sulla linea del fronte.

CHE COSA C’È NELLA TUA LISTA DEI DESIDERI PER IL FUTURO DELLA DIFESA DEI PAZIENTI?

Forse un riconoscimento ufficiale del ruolo dei pazienti. E con ufficiale, non penso a medaglie, ma a coloro che per esempio hanno deciso di rappresentare i pazienti per tutta la loro vita professionale e di agire come difensori dei pazienti. Alcuni di loro hanno acquisito talmente tante conoscenze. Non solo una conoscenza come quella universitaria o quella fornita mediante formazione come con EUPATI, ma in che modo fare cose. Una specie di riconoscimento del loro ruolo potrebbe essere importante per altri, per motivare altri e dare un segnale alla società che vi è un gruppo di persone che sta facendo un enorme e importante lavoro e che noi riconosciamo l’importanza di quel lavoro. Ad esempio, perché coloro i quali diventano esperti nel campo normativo non possono ottenere un titolo universitario che riconosca quel lavoro o che ciò che hanno appreso ha valore e adesso deve essere trasmesso ad altri, questo è l’obiettivo della formazione universitaria e ciò potrebbe forse dare un contributo.

Troppo spesso le nostre istituzioni non si rendono conto cosa significhi coinvolgere la società civile in tutte le loro attività, in tutto quello che hanno pianificato affinché i pazienti diano il proprio contributo. E naturalmente la maggioranza dei pazienti contribuisce in modo completamente spontaneo su base volontaria, ma se non vi è un’organizzazione, non fornisce veramente un contributo rispetto a quello che viene loro richiesto. E per organizzare questo, sono necessarie risorse, programmi di formazione, sono necessari tutor, strutture, metodi di comunicazione ecc. Affinché le istituzioni s’impegnino con la società civile, prima di tutto è necessaria una riflessione in merito a quali risorse dedicare a riguardo, ai metodi di organizzazione che consentano la sostenibilità dell’attività e l’assunzione del proprio ruolo da parte di un maggior numero di pazienti. Il messaggio rivolto davvero a tutte le istituzioni europee è quindi di accompagnare questo movimento con una riflessione su ciò che è necessario affinché sia fatto nel migliore dei modi, con imparzialità e non troppa influenza di altre parti, in modo che la voce del paziente possa essere ascoltata ovunque sia necessario.